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Blog dedicato alla promozione di una serena sessualità ed affettività. Curato da: - Dott.ssa Francesca Carubbi, psicologa e psicoterapeuta rogersiana, Fano (PU) - Dott.ssa Antonietta Albano, psicologa e psicoterapeuta ed esperta in sessuologia clinica, Parma
martedì 17 luglio 2018
martedì 10 luglio 2018
"I fatti sono amici": l'errore in psicoterapia
 Rogers ha sempre sostenuto che i fatti sono i migliori amici 
dell'apprendimento e, quindi, del cambiamento (Rogers, 1980). Ciò vale 
anche per il mondo della psicoterapia. Diciamoci la verità: come 
terapeuti non amiamo sbagliare, fare papere. E quando ciò succede, 
talvolta ci invade uno sconforto e frustrazione tali, che vorremmo 
mandare tutto all'aria. Ma come sbaglia il terapeuta? Può succedere in 
moltissimi modi. Naturalmente non sto parlando di violazioni di setting o
 di codice 
deontologico, ma di errori di comunicazione, di ascolto, ma anche di 
valutazioni, di scelte di determinati trattamenti di elezione o impasse 
relazionali, che possono venire riconosciuti attraverso dispositivi di 
supporto allo psicoterapeuta, come intervisioni, supervisioni e terapia 
personale. Per fare un esempio, proprio ieri, durante la mia 
supervisione mensile, il mio supervisore, appunto, mi ha fatto notare 
quanto mi fossi bloccata con un paziente, avendo, probabilmente, 
facilitato il suo abbandono prematuro del setting. Mi sono resa conto, 
in effetti, che durante la nostra interazione, mia e del cliente, mi 
sono persa in un'artificiosità tale dell'ascolto, di aver mandato in 
tilt la mia bussola interiore, il mio locus di valutazione interno 
(Rogers, 1951), con conseguente perdita di empatia, autenticità e 
accettazione. In soldoni, ho letteralmente buttato nel secchio le 
"condizioni necessarie e sufficienti" rogersiane (Rogers, 1957; 1962). 
Non ho avuto fiducia della mia congruenza e mi sono, da qui, imbrogliata
 e, conseguentemente, sabotata. Beh, mentre sto scrivendo, la mia 
saggezza interiore mi sta facendo provare profondo rammarico per aver 
perso un'occasione, per essermi trincerata in vecchi meccanismi che, 
probabilmente, sono miei scogli e talloni d'Achille. Non amo ammettere i
 miei limiti, le mie sconfitte, i miei fallimenti. Però, allo stesso 
tempo, sono consapevole che, come ogni altro essere umano, sono 
fallibile, e che con umiltà, fatica ed esercizio posso apprendere dai 
miei refusi, per scongiurare il ripetersi degli stessi in futuro. Come 
ci insegna Rogers (1980) "l'unica persona che si può ritenere istruita è quella che ha imparato come si fa a imparare a cambiare".
 In tal senso, mi piace paragonare il terapeuta, che apprende la 
difficile arte dell'ascolto terapeutico, al bambino che impara a 
camminare e che, per farlo, inevitabilmente cade e si sbuccia le 
ginocchia.  Nel libro che ho pubblicato a giugno "Paco, le nuvole borbottone e altri racconti", per quanto riguarda l'importanza dell'errore, quale fonte di apprendimento educativo, ho scritto proprio questo: "...lo
 sbuccio alle ginocchia, lo vedo come metafora della vita, di ciò che è 
in realtà...Una direzione e non una destinazione. Una complessità di 
valori e vissuti emotivi, non sempre intrisi di felicità, ma anche di 
sofferenza, di inciampi appunto. Ma facenti parte di una vita 
arricchente, fresca e stimolante (Rogers, 1980)" (Carubbi, 2018, p. 
13). E l'affascinante arte terapeutica è come la vita: una direzione e 
non una destinazione. Un so - stare in incognite, in attese, in 
frustrazioni. Ma anche in gioie, passioni e desideri. E' un continuo 
flusso coraggioso di apprendimento e cambiamento.
Rogers ha sempre sostenuto che i fatti sono i migliori amici 
dell'apprendimento e, quindi, del cambiamento (Rogers, 1980). Ciò vale 
anche per il mondo della psicoterapia. Diciamoci la verità: come 
terapeuti non amiamo sbagliare, fare papere. E quando ciò succede, 
talvolta ci invade uno sconforto e frustrazione tali, che vorremmo 
mandare tutto all'aria. Ma come sbaglia il terapeuta? Può succedere in 
moltissimi modi. Naturalmente non sto parlando di violazioni di setting o
 di codice 
deontologico, ma di errori di comunicazione, di ascolto, ma anche di 
valutazioni, di scelte di determinati trattamenti di elezione o impasse 
relazionali, che possono venire riconosciuti attraverso dispositivi di 
supporto allo psicoterapeuta, come intervisioni, supervisioni e terapia 
personale. Per fare un esempio, proprio ieri, durante la mia 
supervisione mensile, il mio supervisore, appunto, mi ha fatto notare 
quanto mi fossi bloccata con un paziente, avendo, probabilmente, 
facilitato il suo abbandono prematuro del setting. Mi sono resa conto, 
in effetti, che durante la nostra interazione, mia e del cliente, mi 
sono persa in un'artificiosità tale dell'ascolto, di aver mandato in 
tilt la mia bussola interiore, il mio locus di valutazione interno 
(Rogers, 1951), con conseguente perdita di empatia, autenticità e 
accettazione. In soldoni, ho letteralmente buttato nel secchio le 
"condizioni necessarie e sufficienti" rogersiane (Rogers, 1957; 1962). 
Non ho avuto fiducia della mia congruenza e mi sono, da qui, imbrogliata
 e, conseguentemente, sabotata. Beh, mentre sto scrivendo, la mia 
saggezza interiore mi sta facendo provare profondo rammarico per aver 
perso un'occasione, per essermi trincerata in vecchi meccanismi che, 
probabilmente, sono miei scogli e talloni d'Achille. Non amo ammettere i
 miei limiti, le mie sconfitte, i miei fallimenti. Però, allo stesso 
tempo, sono consapevole che, come ogni altro essere umano, sono 
fallibile, e che con umiltà, fatica ed esercizio posso apprendere dai 
miei refusi, per scongiurare il ripetersi degli stessi in futuro. Come 
ci insegna Rogers (1980) "l'unica persona che si può ritenere istruita è quella che ha imparato come si fa a imparare a cambiare".
 In tal senso, mi piace paragonare il terapeuta, che apprende la 
difficile arte dell'ascolto terapeutico, al bambino che impara a 
camminare e che, per farlo, inevitabilmente cade e si sbuccia le 
ginocchia.  Nel libro che ho pubblicato a giugno "Paco, le nuvole borbottone e altri racconti", per quanto riguarda l'importanza dell'errore, quale fonte di apprendimento educativo, ho scritto proprio questo: "...lo
 sbuccio alle ginocchia, lo vedo come metafora della vita, di ciò che è 
in realtà...Una direzione e non una destinazione. Una complessità di 
valori e vissuti emotivi, non sempre intrisi di felicità, ma anche di 
sofferenza, di inciampi appunto. Ma facenti parte di una vita 
arricchente, fresca e stimolante (Rogers, 1980)" (Carubbi, 2018, p. 
13). E l'affascinante arte terapeutica è come la vita: una direzione e 
non una destinazione. Un so - stare in incognite, in attese, in 
frustrazioni. Ma anche in gioie, passioni e desideri. E' un continuo 
flusso coraggioso di apprendimento e cambiamento.
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