"Gli
uomini violenti" (Estratto dell'Articolo "LA VIOLENZA E LE SUE FORME DI
REATO: un'analisi attraverso il punto di vista psicosessuologico
“centrato sulla persona”- di Antonietta Albano e Francesca Carubbi.
Pubblicato su "Da Persona a Persona - Rivista di Studi Rogersiani,
giugno 2011, pp. 283 - 297)
Per ciò che concerne la tipologia degli uomini violenti o maltrattanti, a differenza di quello che si potrebbe immaginare, nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte a uomini “normali” (Baldry, 2005), ovvero a individui che hanno una vita sociale normale, relazioni amicali e lavorative soddisfacenti: uomini insospettabili, provenienti da diversi contesti socio – culturali. Solo nell’8% dei casi questi uomini fanno uso abituale di alcol o di sostanze: in effetti, l’uso di sostanze stupefacenti non spiega i comportamenti violenti. Anzi, sono spesso gli stessi uomini a cercare un alibi per la loro violenza, giustificando il loro comportamento violento con l’uso di narcotici (Crowell, Burgess, 1996). In questo senso, Hirigoyen (2005) raccomanda di non considerare l’alcolismo come sinonimo di deresponsabilizzazione dal comportamento violento: infatti, tutti gli uomini che giustificano la perdita di controllo sono però capaci di tenerlo a bada in società o sul luogo di lavoro. A ciò si aggiunga che, in realtà, il comportamento violento non cessa con il cessare dell’uso di sostanze, al contrario, essendo più lucido, l’uomo maltrattante attua comportamenti violenti più mirati, deliberatamente selettivi (ad esempio, nel caso di violenze fisiche, è raro che l’uomo colpisca la donna al viso, in quanto le percosse lascerebbero segni inequivocabili di riconoscimento), aventi lo scopo di terrorizzare la partner. Come ricorda ancora Hirigoyen (2005), tutti i racconti delle vittime descrivono uomini che diventano irritabili senza motivo apparente. Sono di cattivo umore, si lamentano di aver dormito male e cercano, appunto, un’occasione per giustificare la loro irritabilità, evidenziando come la loro personalità soffra di una profonda ferita
narcisistica: il loro senso di fragilità e il loro senso di impotenza può portarli a voler dominare la loro compagna. In questo senso, si aspettano che le loro partners si prendano sulle spalle il peso delle loro tensioni, colmare le loro insicurezze e placare le loro angosce. Poiché, comprensibilmente, queste donne non possono riuscire in questo intento, esse divengono bersaglio della furia del compagno; in questo panorama, l’atto violento si innesta come un tentativo onnipotente di calmare la propria angoscia annichilente, attribuendo la responsabilità dei propri fallimenti alla donna, che viene percepita come l’unica responsabile della propria infelicità e angoscia esistenziale. In questo modo, il controllo sull’altro colma la loro mancanza di controllo interno. Ma questa angoscia interna è connessa anche alla paura di essere abbandonati: “il loro comportamento violento, in certi momenti, ha lo scopo di mantenere la donna al posto suo, in modo da non sentirsi dipendenti da lei, mentre in altri, quando sono terrorizzati dall’idea di essere lasciati, tentano di farsi perdonare e suscitano nella compagna un atteggiamento protettivo” (Hirigoyen, 2005, trad. it., pag. 126). Inoltre, sempre per il timore di essere abbandonati, gli uomini violenti ignorano che un rapporto di coppia sano abbia bisogno di una certa distanza psicologica, cercando, al contrario, una piena fusione con la partner. In questo tipo di rapporti, in cui i due partner si vivono come un tutt’uno, il minimo cambiamento in uno dei due mette a rischio la vita di coppia, e il partner si sforza, talvolta, con violenza a ristabilire l’equilibrio. Come possiamo notare, si tratta di un problema di “giusta distanza” relazionale: l’uomo violento vive la donna, alternativamente, come inesistente, non prendendola in considerazione, o troppo invadente, sminuendola o criticandola. Troppa vicinanza li spaventa, in quanto hanno paura di essere invasi, mentre, una lontananza percepita troppo grande riattiva in loro angosce abbandoniche. Per trovare un loro equilibrio, questi uomini hanno necessità di controllare, in ogni momento, a quale distanza debba tenersi la compagna da loro. Su questa scia, la conquista dell’autonomia da parte delle donne può essere vissuta da alcuni dei loro compagni come una minaccia alla loro immagine stereotipata di uomini forti, virili e potenti: se l’uomo, in confronto alla donna, si considera troppo fragile, può rispondere in modo violento, sottomettendola".
Copyright: Antonietta Albano - Francesca Carubbi
ACP - Alpes Italia
Per ciò che concerne la tipologia degli uomini violenti o maltrattanti, a differenza di quello che si potrebbe immaginare, nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte a uomini “normali” (Baldry, 2005), ovvero a individui che hanno una vita sociale normale, relazioni amicali e lavorative soddisfacenti: uomini insospettabili, provenienti da diversi contesti socio – culturali. Solo nell’8% dei casi questi uomini fanno uso abituale di alcol o di sostanze: in effetti, l’uso di sostanze stupefacenti non spiega i comportamenti violenti. Anzi, sono spesso gli stessi uomini a cercare un alibi per la loro violenza, giustificando il loro comportamento violento con l’uso di narcotici (Crowell, Burgess, 1996). In questo senso, Hirigoyen (2005) raccomanda di non considerare l’alcolismo come sinonimo di deresponsabilizzazione dal comportamento violento: infatti, tutti gli uomini che giustificano la perdita di controllo sono però capaci di tenerlo a bada in società o sul luogo di lavoro. A ciò si aggiunga che, in realtà, il comportamento violento non cessa con il cessare dell’uso di sostanze, al contrario, essendo più lucido, l’uomo maltrattante attua comportamenti violenti più mirati, deliberatamente selettivi (ad esempio, nel caso di violenze fisiche, è raro che l’uomo colpisca la donna al viso, in quanto le percosse lascerebbero segni inequivocabili di riconoscimento), aventi lo scopo di terrorizzare la partner. Come ricorda ancora Hirigoyen (2005), tutti i racconti delle vittime descrivono uomini che diventano irritabili senza motivo apparente. Sono di cattivo umore, si lamentano di aver dormito male e cercano, appunto, un’occasione per giustificare la loro irritabilità, evidenziando come la loro personalità soffra di una profonda ferita
narcisistica: il loro senso di fragilità e il loro senso di impotenza può portarli a voler dominare la loro compagna. In questo senso, si aspettano che le loro partners si prendano sulle spalle il peso delle loro tensioni, colmare le loro insicurezze e placare le loro angosce. Poiché, comprensibilmente, queste donne non possono riuscire in questo intento, esse divengono bersaglio della furia del compagno; in questo panorama, l’atto violento si innesta come un tentativo onnipotente di calmare la propria angoscia annichilente, attribuendo la responsabilità dei propri fallimenti alla donna, che viene percepita come l’unica responsabile della propria infelicità e angoscia esistenziale. In questo modo, il controllo sull’altro colma la loro mancanza di controllo interno. Ma questa angoscia interna è connessa anche alla paura di essere abbandonati: “il loro comportamento violento, in certi momenti, ha lo scopo di mantenere la donna al posto suo, in modo da non sentirsi dipendenti da lei, mentre in altri, quando sono terrorizzati dall’idea di essere lasciati, tentano di farsi perdonare e suscitano nella compagna un atteggiamento protettivo” (Hirigoyen, 2005, trad. it., pag. 126). Inoltre, sempre per il timore di essere abbandonati, gli uomini violenti ignorano che un rapporto di coppia sano abbia bisogno di una certa distanza psicologica, cercando, al contrario, una piena fusione con la partner. In questo tipo di rapporti, in cui i due partner si vivono come un tutt’uno, il minimo cambiamento in uno dei due mette a rischio la vita di coppia, e il partner si sforza, talvolta, con violenza a ristabilire l’equilibrio. Come possiamo notare, si tratta di un problema di “giusta distanza” relazionale: l’uomo violento vive la donna, alternativamente, come inesistente, non prendendola in considerazione, o troppo invadente, sminuendola o criticandola. Troppa vicinanza li spaventa, in quanto hanno paura di essere invasi, mentre, una lontananza percepita troppo grande riattiva in loro angosce abbandoniche. Per trovare un loro equilibrio, questi uomini hanno necessità di controllare, in ogni momento, a quale distanza debba tenersi la compagna da loro. Su questa scia, la conquista dell’autonomia da parte delle donne può essere vissuta da alcuni dei loro compagni come una minaccia alla loro immagine stereotipata di uomini forti, virili e potenti: se l’uomo, in confronto alla donna, si considera troppo fragile, può rispondere in modo violento, sottomettendola".
Copyright: Antonietta Albano - Francesca Carubbi
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